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Sunday, January 2, 2022

Baba Sissoko - Griot Jazz (Caligola Records)

Il progetto «Griot Jazz» nasce durante la residenza per l’allestimento dell’opera musicale «Le Vol du Boli» al Teatro di Châtelet di Parigi, in cui sono coinvolti tre musicisti maliani, Baba Sissoko e Lansiné Kouyaté, già noti in Europa (il primo vive in Italia, il secondo in Francia) ed il più giovane Madou Sidiki Diabate, che risiede ancora in Mali. I tre suonano sempre insieme, tutti i giorni, sia prima delle prove che durante le pause dello spettacolo, e dopo un mese Sissoko ha già scritto abbastanza materiale da sentire l’esigenza di registrarlo prima che ciascuno torni a casa propria. Lansiné, che vive a Parigi, prenota quindi lo studio di registrazione di un amico musicista francese, il tastierista Jean–Philippe Rykiel, classe 1961, cieco dalla nascita, che, ascoltandoli provare, sente il desiderio di sedersi al piano e suonare con loro.

Le sue tastiere sembrano integrarsi alla perfezione con la musica del trio, tanto che gli viene chiesto di aggiungersi al gruppo. La grande libertà mostrata nell’interpretare la musica africana, le tastiere creative di Rykiel, così come il grande spazio lasciato all’improvvisazione, sembrano avvicinare molto la musica del Mali al jazz, e non è caso che il brano che dà il titolo al disco, Griot Jazz, sia forse il più riuscito esempio di questa fusione. Seppur nato fortuitamente, il progetto non sembra poi così casuale. Rykiel, pianista ma anche arrangiatore e produttore, ha collaborato con Jon Hassell e Leonard Cohen ma soprattutto con Salif Keita e Youssou N’Dour, con cui ha co prodotto tre album. Aveva inoltre già registrato in duo con Kouyaté, che a sua volta ha suonato con Keita e Dee Dee Bridgewater.

Esperienze analoghe a quelle di Baba Sissoko, che al jazz è sempre stato molto vicino, sin dalle prime esperienze con l’Art Ensemble of Chicago. Delle sue molte recenti produzioni questa sembra essere la più riuscita ed equilibrata. I 15 brani che la compongono scorrono via fluidi, senza intoppi, e gli strumenti tradizionali africani sanno ricercare con le tastiere di Rykiel sonorità nuove ed originali, riuscendo spesso a trovarle. 

1. Sini Ka Dja 03:46
2. Griot Jazz 03:12
3. Dala Manka 03:24
4. Angafoli 03:41
5. Abderrahmane 02:45
6. Griot Groove 03:49
7. Fatoumata 03:22
8. Gherena 03:32
9. Kamissoko 02:31
10. Uyaye 02:49
11. Thierno 03:38
12. Mamela 03:54
13. Dorcy 02:45
14. Nour 03:34
15. Castella 02:52

Baba Sissoko (ngoni, tama, vocals)
Jean–Philippe Rykiel (piano, keyboards)
Madou Sidiki Diabate (kora)
Lansiné Kouyaté (balafon)

All tunes composed by Baba Sissoko; tunes n. 11/12/13/14 with Jean–Philippe Rykiel and n. 4/6/8/10 with J.–P.Rykiel, Madou Sidiki Diabate, Lansiné Kouyaté. Recorded at Jean–Philippe Rykiel Studio, Paris, in September 2020; mixed and mastered at KayaStudio, Quattromiglia (Cosenza), in April 2021 by Francesco Malizia.

Friday, December 31, 2021

Cristina Mazza / Sean Bergin / Bruno Marini / Jean–Jacques Avenel / Sangoma Everett - Celebrating the Music of Mal Waldron (December 2021 Caligola Records)

Mal Waldron (1925–2002) è stato uno dei più importanti pianisti dell’epoca successiva a Monk e Powell ma allo stesso tempo – lo affermiamo senza remore a 20 anni dalla morte – un musicista dimenticato troppo in fretta. Eppure l’Europa, sua seconda patria, gli deve molto. Dopo aver suonato con molti giganti del jazz moderno, da Mingus a Dolphy, il pianista si è trasferito nel 1967 Monaco di Baviera e negli anni ‘90 a Bruxelles. Fra i molti jazzisti europei che hanno avuto la fortuna di suonare con Waldron c’è l’altosassofonista veronese Cristina Mazza che, dopo averlo conosciuto ai seminari tenuti negli anni ’80 da Giorgio Gaslini in Liguria, ha registrato con lui e Reggie Workman nel 1991 l’album «Where Are You?». 

Ed a cinque anni dalla scomparsa del pianista neroamericano, ha pensato bene di organizzare una seduta di registrazione, affiancando ai tre membri del suo ultimo quartetto europeo – Sean Bergin, Jean–Jacques Avenel e Sangoma Everett – altrettanti jazzisti italiani – con lei suonano Bruno Marini e Daniele D’Agaro – formando così un atipico sestetto con quattro ance e senza strumento armonico, che ha reso omaggio a Waldron eseguendo con sentito trasporto e freschezza creativa otto sue composizioni, cui hanno dato nuovo smalto arrangiamenti originali e riusciti. Quando Cristina ci ha proposto l’ascolto di questa registrazione ne siamo rimasti subito folgorati. Non era semplice resistere alla tentazione di pubblicarla, per far sì che anche gli appassionati potessero gustare, pur dopo 15 anni, una musica quanto mai viva ed attuale. L’impatto dei quattro fiati è davvero notevole, ed ogni brano ha un qualche motivo di interesse.

Quello che si ascolta in «Celebrating the Music of Mal Waldron» è jazz profondo e viscerale, com’è sempre più raro sentire oggi. Difficile stilare una graduatoria fra le otto tracce dell’album, ma un plauso particolare spetta a Sean Bergin, che nella finale Left Alone, dopo un toccante prologo al sax tenore, recita con emozione le parole di Billie Holiday, trasformando la celebre canzone in un’accorata preghiera. 

1. Hurray for Herbie 05:57
2. Snake Out 05:18
3. What It Is 06:06
4. Our Colline's a Treasure 05:27
5. Status Seeking 07:23
6. Medley (Soul Eyes - Changachangachanga) - Medley 06:54
7. Dig It Deep Down Baby 06:51
8. Left Alone 04:26*

Cristina Mazza (alto sax)
Sean Bergin (tenor sax all tunes, except Left Alone  voice) 
Daniele D'Agaro (clarinet, tenor sax on Dig It Deep Down Baby solo)
Bruno Marini (baritone sax all tunes included Left Alone prologue)
Jean-Jacques Avenel (double bass)
Sangoma Everett (drums)

*Left Alone: intro  Bruno Marini baritone sax, Jean Jacques Avenel bass, Sangoma Everett drums - then Sean Bergin voice with Cristina Mazza, Daniele D’Agaro, Bruno Marini (reeds background), Jean Jacques Avenel, Sangoma Everett 

Marco Tamburini & Marcello Tonolo - Amigavel (December 2021 Caligola Records)

Disco tutto da gustare questo “Amigavel”, tuffo rinfrescante nel jazz più lirico e raffinato, saldamente radicato nella tradizione ed allo stesso tempo estremamente moderno. Il sodalizio che lega Marcello Tonolo a Marco Tamburini risale all’inizio degli anni ’90, ai tempi cioè della Keptorchestra. Tonolo ha poi accompagnato Marco in diverse occasioni e di recente sia nel quintetto che quest’ultimo dirige con il trombonista Roberto Rossi, sia nel sestetto “Massive Groove”, che ha da poco pubblicato un disco per la prestigiosa etichetta francese Dreyfus Jazz.

Il duo non è altro quindi che il completamento di un lungo lavoro, forse il punto più alto sin qui raggiunto dalla loro collaborazione. Il disco <> è stato registrato dal vivo all’Unisono Jazz Café di Feltre, e prende il titolo da una lenta e nostalgica bossanova composta nel 1996 dal mai dimenticato Maurizio “Bicio” Caldura, che aveva in origine un testo in dialetto savonese della cantante Tiziana Ghiglioni. Oltre al bel brano di Caldura, il duo reinterpreta con grandi lucidità e passione due celebri standard, How deep is the ocean di Irving Berlin e A Child is born, di Thad Jones. Gli altri cinque titoli sono composizioni originali dei due musicisti, una di Tamburini e quattro di Tonolo, che si rivela autore prolifico e personale, comunque subito riconoscibile. Marcello Tonolo, nato a Mirano (Venezia) nel 1955, è da ormai vent’anni fra i più ricercati ed affidabili pianisti di jazz italiani, facendosi apprezzare per la solidità ritmica ed il gusto musicale. 

Ha suonato con i più importanti jazzisti italiani ed ha accompagnato molti maestri americani di passaggio nel nostro paese.lche nome. All’inizio degli anni ’90 è stato fra i fondatori della Keptorchestra ed ha poi guidato la GAP Band ed il gruppo Music On Poetry. Marcello dirige da qualche anno la Thelonious Monk Big Band di Dolo. Marco Tamburini, nato a Cesena nel 1959 ma residente da tempo a Bologna, oltre che essere un solista di spicco del jazz italiano, Marco Tamburini lavora attivamente come turnista in ambito pop, e collabora dal 1995 con Lorenzo Jovanotti.

Ha inciso molti dischi come leader. Lo scorso anno ha pubblicato per la prestigiosa etichetta francese Dreyfus il disco “Why Not”, inciso come direttore musicale del gruppo “Massive Groove”, che comprende ancora Roberto Rossi, Marcello Tonolo ed il sassofonista Piero Odorici. 

1. How Deep Is the Ocean 06:21
2. Yesterday Night 07:40
3. Zal 07:57
4. Amigavel 05:36
5. No Matter 06:38
6. A Child Is Born 06:53
7. Pirati 05:46
8. Borderline 04:55

Marco Tamburini (tromba, flicorno)
Marcello Tonolo (pianoforte)

Enzo Rocco - Tubatrio's Revenge (December 2021 Caligola Records)

Disco importante questo, il terzo inciso per la nostra etichetta dal Tuba Trio di Enzo Rocco, chitarrista di Crema forse più apprezzato nel nord Europa che nel nostro paese. Noto per le sue collaborazioni con Carlo Actis Dato, con cui ha registrato in duo, ed il sassofonista inglese Lol Coxhill, Rocco tiene in vita questa formazione atipica da ormai più di otto anni, ed i risultati, frutto di un mirabile affiatamento ma soprattutto di un progetto coerente ed originale, sono ben evidenti in questo godibile «Tubatrio’s Revenge», che segue «Bad News from Tubatrio» (Caligola 2028), del 1999, e «Tubatrio» (Caligola 2012), pubblicato nel 1996.

Nulla è cambiato rispetto alla precedente incisione:la creativa e personale chitarra elettrica del leader è ancora affiancata dalla fantasiosa ed incalzante batteria di Ettore Fioravanti, nonchè dagli ottoni (trombone e tuba) del veterano Giancarlo Schiaffini, vero e proprio santone dell’avanguardia, capace di misurarsi con le difficili partiture di Luigi Nono ma anche di prendere ispirati assoli all’interno dell’Italian Instabile Orchestra, punta di diamante del free-jazz italiano degli ultimi anni. Una formazione così assemblata consente molta libertà, che però non diventa mai confusione, poiché il filo del discorso musicale rimane sempre saldamente in mano ad un leader quanto mai autorevole ed efficace, oltre che autore di tutti e nove i brani dell’album.

Entrambi i partner sembrano muoversi del tutto a proprio agio all’interno della “libertà vigilata” di un Rocco lucido ed essenziale, ironico e sornione, mai appariscente eppure sempre molto concreto e convincente. Difficile stilare una graduatoria fra le nove composizioni del chitarrista, che hanno tutte più di qualche motivo d’interesse. Ma almeno una curiosità merita d’esser segnalata. Ci riferiamo alla presenza di una breve ma gustosa e divertita Il Paese dei nasi, che col suo titolo ironico rimanda inevitabilmente a Stefania ed il naso, brano del primo disco, ed a Il ritorno del naso, presente invece nella tracking-list del secondo. 

1. Il paese dei nasi 05:54
2. Pulpbone 08:42
3. Todos los pepinos del mundo 08:22
4. Animali pericolosi 08:23
5. Schrippentrappenkrantz 05:16
6. Amabilia Betulia 06:26
7. Sonia, Tania, Olga e le altre ragazze del Volga 05:08
8. Itadakimasu 05:37
9. La bonaccia 02:50

Enzo Rocco (chitarra)
Giancarlo Schiaffini (tuba, trombone, electronics)
Ettore Fioravanti (batteria)

Monday, October 25, 2021

Three Lower Colours (feat. Marco Tamburini, Stefano Onorati & Stefano Paolini) / Red - Early Recordings (October 2021 Caligola Records)

Risulta preziosa questa “riscoperta” da parte di Stefano Onorati delle prime registrazioni dei Three Lower Colours, fatte subito dopo che Stefano Paolini era subentrato a Walter Paoli: qui termina il percorso del trio di Marco Tamburini ed inizia quello di un gruppo davvero paritetico. Incisioni per questo importanti, che precedono sia le colonne sonore del breve film muto di Georges Méliès, «Le voyage dans la lune», e del lungometraggio «Blood and Sand» di Fred Niblo – pubblicate entrambe soltanto su Dvd – che gli album «First Take» e «Contemporaneo immaginario» (con Il Vertere String Quartet). «Red» testimonia la nascita di un trio che avrebbe presto dato prova di non comune coesione, originalità e fantasia, proiettato come poche altre formazioni italiane del periodo verso il futuro. Così chiude le sue calzanti note di copertina il critico Guido Festinese “…

In «Red» … trovate già una sintesi guizzante, movibile e intelligente dei molti stimoli che attraversavano menti, cuori e corpi di Tamburini, Onorati e Paolini. È una musica cresciuta sui dischi del primo e del secondo Miles Davis elettrico, ma con quel quid in più di spaziosa malinconia ed estrema raffinatezza che permea le incisioni di Arve Henriksen e di tanti ricercatori del suono nordici, e qualche ifa va anche a raggiungere le terre incognite di un Jon Hassell. O a sfiorare certe mappe frequentate da Ibrahim Maalouf. Il jazz di valore ascolta e si ascolta. 

E Marco Tamburini aveva i sensi allertati e la mente reattiva, sempre.” . Ogni brano meriterebbe un’attenta analisi, sia le composizioni originali che le personali riletture di vecchi e nuovi standard, ma ci preme almeno evidenziare il riuscito e suggestivo passaggio da Angolo a Blue in Green, esecuzioni accumunate da un’atmosfera estremamente ipnotica e sognante. Quel che stupisce è che la musica sin qui documentata dei Three Lower Colours, uno dei gruppi più importanti diretti da Tamburini, copra a malapena l’arco ristretto di due anni. L’augurio non può essere che quello di poter presto tornare a gustare “riscoperte” altrettanto emozionanti. 

1. Angolo 08:40
2. Blue in Green 07:20
3. Gruvone 06:10
4. Knives Out 07:41
5. Naima 07:22
6. Relaxin' at Home 05:03
7. Red Subway Sound 07:49
8. TLC 07:33

Marco Tamburini (trumpet, flugelhorn, live electronics)
Stefano Onorati (keyboards, live electronics)
Stefano Paolini (drums, live electronics)

Recorded at Simple Sound Studio, Castelmaggiore (Bologna), in January 2009 by Marco Tamburini
mixed on 15th July 2009 by Gianluca Gadda; mastered at SOP Studio on 14th December 2020 by Stefano Onorati

Kathya West, Alberto Dipace & Danilo Gallo - The Last Coat of Pink (October 2021 Caligola Records)

A tre anni da «Oxymoron», Kathya West e Danilo Gallo proseguono la loro originale rivisitazione del repertorio rock con questo riuscito ed intrigante «The Last Coat of Pink», in cui è bastato cambiare solo uno dei membri del trio per ottenere un risultato musicale completamente diverso. Lì a venire rilette erano le canzoni del binomio Beatles/Rolling Stones e Gallo compariva nell’inedita veste di chitarrista affiancato da Valerio Scrignoli. Qui invece torna a suonare il contrabbasso per affrontare, in modo ancor più creativo, insieme all’ipnotica suggestiva voce di Kathya West, il repertorio dei Pink Floyd, chiamando a completare il trio l’inventivo pianista Alberto Dipace, che aveva già accompagnato in «Eyes and Madness» e nel più recente «Collera City».

È una rilettura visionaria ed onirica quella offerta dal trio, come spiegano bene le parole della West: “Non è semplice suonare una vastità, ma la si può far suonare. Per il vento si può soffiare. Per l'illusione ci sono i sogni. Per i vuoti c'è la musica, quella che suona ciò che non esiste… Nella vastità spesso ci si perde. Dalla volontà di ritrovarsi, in questa vastità, è nato il nostro racconto musicale… Una vastità visionaria, quella dei Pink Floyd, in cui abbiamo voluto immergerci per sorprenderci nel ritrovarsi, sempre”. È un omaggio ai Pink Floyd il loro, intimo e personale, ma rispettoso di quelle indimenticabili melodie che hanno cambiato il corso della popular music. Brani come Money, Wish You Were Here, Hey You o Mother sembrano trovare nuova vita in un progetto audace quanto particolare, che non ha bisogno di urlare per farsi sentire, perché in questo immaginifico viaggio sonoro i sussurri sono più rumorosi delle grida. Chiude l’album Is There Anybody Out There?, che solo in questa quarta splendida versione (è ghost track nel Cd e visibile invece nel digitale), riesce a dispiegare tutta la sua struggente bellezza, dopo che le prime tre (nessuna dura più 30 secondi) ce l’avevano appena fatta assaggiare. 

1. Is There Anybody Out There? 00:11
2. Nobody Home 03:57
3. Wish You Were Here 04:03
4. Hey You 05:01
5. Is There Anybody Out There? - Reprise 1 00:28
6. Don't Leave Me Now 03:15
7. Mother 05:44
8. On the Turning Away 04:18
9. Money 04:24
10. Comfortably Numb 05:10
11. Is There Anybody Out There? - Reprise 2 00:26
12. Goodbye Blue Sky 02:39
13. Time 07:54
14. The Show Must Go On 04:47
15. Is There Anybody Out There? - Reprise 3 02:27

Kathya West (vocals)
Alberto Dipace (piano)
Danilo Gallo (double bass)

Recorded, mixed and mastered at Crossroad Recording Studio,
Cologno Monzese (Milano), Italy, in July 2020, by Vincenzo De Leo

Tuesday, August 31, 2021

Marcello Tonolo & Pietro Tonolo - Our Family Affair (August 2021 Caligola Records)

I fratelli Marcello e Pietro Tonolo, classe 1955 e 1959, jazzisti che non hanno bisogno di presentazioni, guidarono a cavallo fra gli anni ’70 ed '80 il Jazz Studio, quartetto molto noto ed attivo nell’area veneziana, ma che non ha lasciato testimonianze discografiche della sua musica. Nei successivi decenni hanno portato avanti entrambi con successo i loro percorsi professionali, collaborando solo raramente a comuni progetti musicali (è successo, per esempio, con Keptorchestra). Hanno quindi registrato molti album a proprio nome (Marcello ne ha pubblicati almeno una decina per Caligola), ma è la prima volta che ne firmano insieme uno come co–leader. Al loro fianco troviamo in quest’occasione un giovanissimo ma già apprezzato contrabbassista, Nicolò Masetto, ed un veterano del jazz veneto, il batterista Massimo Chiarella.

Il disco si apre con due brani fra loro molto diversi: Il sottoscala, di Pietro, composizione d’atmosfera newyorkese, e Quiet City, tema arioso d’impronta modern bop di Marcello. È interessante ascoltare in Acqualta Pietro, che ne è anche autore, muoversi con maestria al flauto ed imbracciare subito dopo il sax soprano in The Gift, brano del fratello pianista che precede il suo Arnold Sings the Blues, sorta di blues “dodecafonico” in cui torna allo strumento che l’ha reso giustamente famoso, anche al di fuori del nostro paese, il sax tenore, sinuoso e felino come nelle migliori occasioni. I repentini cambi di strumento del sassofonista donano ad una formula che potrebbe apparire sin troppo prevedibile, quella del quartetto con sassofono e pianoforte, una grande varietà cromatica, ma anche una sonorità estremamente coesa ed avvolgente.

Gli ultimi quattro temi sono tutti firmati da Marcello. È ancora il flauto di Pietro ad illuminare la danzante e gioiosa Eucalypso, mentre la personale scrittura del pianista, riconoscibile sia in La talpa che in Ace, raggiunge forse il suo momento più felice in Remembering Steve, ballad dedicata a Steve Grossman ed eseguita in duo, che chiude nel migliore dei modi un album che segna una tappa importante nei pur lunghi e fecondi percorsi artistici dei fratelli Tonolo.

1. Il sottoscala 04:18
2. Quiet City 04:48
3. Acqualta 06:44
4. The Gift 04:19
5. Arnold Sings the Blues 05:49
6. Eucalypso 05:03
7. La talpa 05:57
8. Ace 05:26
9. Remembering Steve 04:24

Pietro Tonolo (tenor and soprano sax, flute)
Marcello Tonolo (piano)
Nicolò Masetto (double bass)
Massimo Chiarella (drums)

Thursday, May 27, 2021

Marcello Tonolo Quartet (feat. Chris Cheek plus Four) - Crazeology (May 2021 Caligola Records)

After two, among other things excellent, albums of standards recorded at the head of what is now his permanent trio, Marcello Tonolo returns to give breath to his music, emphasizing two of his main qualities: a refined compositional taste and a wise use of arrangements. The core, formed by the proven and solid rhythm section of Marco Privato and Jimmy Weinstein, remains, in continuity with the two previous recordings, but there is more this time: an important and original instrumental voice from the New York jazz scene, that of saxophonist Chris Cheek, real added value of the project, which gives an important contribution of ideas and pathos, besides the already taken for granted technical and professional skills.

The decision to add a wind quartet formed by young people, of great talent and secure future, in four of the nine tracks, makes this already weighty work even more valuable. In these tracks the group becomes an octet, which, according to Tonolo, already has the pleasant taste of an orchestra, a team that has always been congenial to him, as attested by the tenacious efforts made to keep alive until possible the Keptorchestra first, and the Thelonious Monk Big Band after.

Particularly successful are the arrangements of his own compositions like L’albero – among other things, the only song in which Cheek plays the soprano – and the evocative Borderline, but also of a little known jazz standard as When lights are low, by Benny Carter. The Quartet, for its part, runs unbridled, managing to outdo itself in songs like the spirited Evening star, also signed by the leader, the intense final short ballad, Margherita, composed by Jimmy Weinstein, and the personal, compelling reinterpretation of Crazeology, not surprisingly chosen also as the title of the album. 

1. Leo, Lion y Leon 04:53
2. L'albero 07:59
3. Walk Away 08:39
4. When Lights Are Low 06:32
5. Evening Star 06:05
6. Lazy Afternoon 09:28
7. Crazeology 06:41
8. Borderline 05:35
9. Margherita 03:24

Chris Cheek (tenor and soprano sax)
Marcello Tonolo (piano, arrangements)
Marco Privato (double bass)
Jimmy Weinstein (drums)

Guests:
Pasquale Paterra and Antonello Del Sordo (trumpets)
Federico Pierantoni (trombone)
Mattia Dalla Pozza (alto sax)

Wednesday, May 19, 2021

Dino Plasmati & Bruno Montone (GuitArt Quartet) - On Air (May 2021 Caligola Records)

Anche se all’interno del GuitArt Quartet l’hammond riveste un ruolo importante, sono due chitarristi a guidarlo, come il nome del gruppo lascia chiaramente intendere. Si tratta di Antonio Tosques, foggiano, classe 1965, e Dino Plasmati, materano, classe 1972, entrambi con un importante percorso artistico alle spalle. Lo fanno con lucida autorevolezza e splendido interplay, così che i dieci brani di «On Air» scorrono fluidi e senza intoppi, non diventando mai motivo di competizione per vedere “chi suona più veloce”. C’è grande rispetto per i nove standard selezionati, appartenenti sia alla grande canzone americana che ad autori più moderni come Rollins, Coltrane e Coleman.

Rispetto che non vuol dire loro riproposizione accademica o mero sfoggio di tecnica strumentale, ma piuttosto omaggio sincero ed originale ad una tradizione, quella del jazz, che i due musicisti conoscono e amano profondamente. Il grande impatto sonoro prodotto dalle due chitarre – suonate comunque con tecnica tradizionale, senza l’ausilio dell’elettronica – colpisce subito, sin dalle prime note di un’incalzante ed allo stesso ipnotica Airegin, ma esprime tutta la sua efficacia anche quando l’atmosfera si fa più rilassata, come nell’unico brano originale dell’album, Boundless Energy, di Dino Plasmati, in cui viene dato spazio anche all’eccellente organo bluesy di Bruno Montone. 

Sono esemplari sia il relax con cui le due chitarre affrontano la suadente In Your own Sweet Way, sia la riflessiva delicatezza che circonda l’esecuzione di I’ve Accustomed to Her Face, grazie anche all’efficace lavoro svolto da Montone. Si conferma discreto e sempre pertinente, in ogni traccia del disco, il drumming di Marcello Nisi, a suo agio anche con i ritmi latini di When Sunny Gets Blue. Il blues colemaniano di Turnaround, eseguita in modo superbo dai due chitarristi senza sezione ritmica, chiude nel migliore dei modi un album da ascoltare tutto d’un fiato, godibile quanto ricco di contenuti. 

1. Airegin 06:48
2. Everything I Love 04:45
3. Lazy Bird 06:19
4. Boundless Energy 05:43
5. In Your Own Sweet Way 09:02
6. I’ve Accustomed to Her Face 06:39
7. My Secret Love 04:34
8. When Sunny Gets Blue 07:20
9. Who Can I Turn To? 07:16
10. Turnaround 05:31

Dino Plasmati (electric guitar)
Antonio Tosques (electric guitar)
Bruno Montone (hammond organ)
Marcello Nisi (drums)

Recorded, mixed and mastered at Lab Sonic Studio, Matera, Italy,
on July 21 and 22, 2020, by Francesco Altieri.

Friday, April 23, 2021

Sandro Gibellini, Ares Tavolazzi & Mauro Beggio - Put On a Happy Face (April 23, 2021 Caligola Records)

Sorprende che un gruppo nato nel 1996, formato da tre riconosciuti maestri della scena jazzistica italiana, abbia pubblicato sin qui soltanto tre dischi. Ancor più stupisce che, dopo «You and the night and the music» (1999) e «Let’s face the music and dance» (2001) – pubblicati entrambi dalla Splasc(h) Records – siano dovuti passare ben nove anni affinché Sandro Gibellini, Ares Tavolazzi, Mauro Beggio vincessero la pigrizia e si convincessero a raccogliere e incidere del nuovo materiale per questo terzo atteso lavoro. I loro numerosi estimatori lo aspettavano da tempo. Nelle nove tracce di «Put on a happy face», registrato in uno studio toscano nel marzo del 2009, vengono esaltate le principali caratteristiche del trio, che sono la costante ricerca dell’interplay – in una sorta di continuo dialogo tra i musicisti – e la freschezza della musica proposta. Il repertorio, scelto con estrema cura, mescola standard (alcuni celeberrimi come Moon river di Henry Mancini o la gershwiniana Strike up the band, altri meno noti come I’m through with love, delizioso brano d’apertura o quello, dallo swing fluido e contagioso, che dà il titolo all’album) a composizioni originali, una di Tavolazzi, un valzer, e tre di Gibellini.

Appare riuscita in particolare la ripresa di Jazz dream, che i suoi co-autori, il chitarrista bresciano ed il cantante Alan Farrington, presente come ospite soltanto in questo brano, avevano già proposto tre anni or sono in duo nel riuscito disco «Two of us…» (Caligola 2082). Il trio suona con grande relax, senza per questo apparire leggero o superficiale. Le linee melodiche di Sandro Gibellini, chitarrista estremamente versatile, sempre puntuale ed elegante, rispettoso della tradizione jazzistica ed allo stesso tempo originale, sono un invito a nozze per il raffinato contrabbasso di Ares Tavolazzi, dalla cavata agile e profonda, che trova a sua volta nel fantasioso e solido “drumming” di Mauro Beggio un partner altrettanto ideale.

Poco importa che ad intrecciare il dialogo siano musicisti di età e formazione così diverse (Tavolazzi è nato nel 1948, Gibellini nel 1957, Beggio nel 1970: fra il primo ed il terzo c’è quindi lo spazio di un’intera generazione). Questa è piuttosto la riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che nella musica la differenza d’età non ha mai rappresentato un serio problema, né a nostro parere lo potrà mai costituire.

1. I'm Through With Love 08:00
2. Sati 06:14
3. Moon River 07:44
4. Strike Up the Band 03:33
5. Piccolo valzer per Ruiz 04:32
6. Question Mark 05:49
7. Put On a Happy Face 05:01
8. Flamingo 09:42
9. Jazz Dream 03:31

Sandro Gibellini (electric guitar)
Ares Tavolazzi (double bass)
Mauro Beggio (drums)

Special guest: Alan Farrington (vocals) on n° 9 

Sunday, April 4, 2021

Michele Calgaro - Round About Monk (April 4, 2021 Caligola Records)

Chitarrista di formazione autodidatta, si specializza negli anni ‘80 nella tecnica del fingerpicking con Duck Baker, Stefan Grossman e John Renbourn. Approfondisce in seguito lo studio dell’improvvisazione e del linguaggio jazzistico grazie alla frequentazione di stages tenuti da Mick Goodrick, Jim Hall, Lee Konitz e Dave Holland. Dopo essersi messo in luce nei corsi estivi di Siena Jazz ’90, dal 1991 è direttore della scuola di musica Thelonious, di Vicenza. Conosce il sassofonista canadese Robert Bonisolo, e con lui guida un quartetto completato da Lorenzo Calgaro, contrabbasso, suo fratello, e Gianni Bertoncini, batteria, che registra nel 1995 per la Flex Records «The Edge», con ospite Paolo Fresu.

Suona quindi nei gruppi di Claudio Fasoli (quartetto e trio) e nella Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale, con cui registra tre dischi. Collabora inoltre con Kenny Wheeler, Manfred Schoof, Erik Truffaz e Claudio Roditi, ma anche con alcuni dei migliori jazzisti italiani, come Mauro Negri, Paolo Birro, Pietro Tonolo. Ha suonato nel disco e nel tour di «Del Magico Mondo», un ambizioso lavoro del cantautore Federico Zecchin, cui hanno partecipato Rossana Casale e Giorgio Albertazzi.

Oltre a guidare proprie formazioni, Calgaro suona spesso con la cantante chicagoana Cheryl Porter e nel Monkgomery Quartet, assieme all’amico chitarrista Sandro Gibellini. «Round About Monk» è quindi il primo disco firmato da Michele Calgaro come unico leader (in «The Edge» le scelte musicali erano infatti condivise con Bonisolo). L’originalità del lavoro, in cui ci vengono offerte delle personali rivisitazioni del repertorio monkiano (più un brano originale, Lazy Cats), sta nella varietà delle formazioni assemblate dal chitarrista vicentino, che vanno dal trio all’ottetto, senza tralasciare una parentesi per sola chitarra (Crepuscule with Nellie).

Suggestive sono soprattutto le esecuzioni dell’ottetto, da Bemsha Swing a Monk’s Mood, grazie ai preziosi arrangiamenti di Calgaro, capaci di bilanciare sapientemente gli insieme orchestrali dei fiati ed i brillanti assoli degli musicisti coinvolti nel progetto, da Kyle Gregory a Robert Bonisolo, da Ettore Martin a Beppe Calamosca. Due brani (Let’s Cool One ed il già citato Lazy Cats) sono eseguiti in trio con Lorenzo Conte ed Eliot Zigmund, vero e proprio maestro della batteria, per anni al fianco dell’indimenticato pianista Bill Evans.

1. Bemsha Swing 06:16

2. Ugly beauty 06:06

3. Epistrophy 06:21

4. Let's Cool One 05:18

5. Four In One 05:18

6. Monk's Mood 07:50

7. Crepuscole With Nellie 02:28

8. Brilliant corners 05:13

9. Lazy Cats 04:40


Michele Calgaro (chitarre)

Lorenzo Calgaro e Lorenzo Conte (contrabbasso)

Mauro Beggio ed Eliot Zigmund (batteria)

Robert Bonisolo ed Ettore Martin (sax tenore)

Kyle Gregory (tormba)

Beppe Calamosca (trombone)

Dario Duso (tuba)

Tuesday, October 30, 2018

Domenico Caliri Cal Trio - Aria Mossa (CALIGOLA RECORDS 2018)


Tra i più importanti chitarristi jazz italiani degli ultimi vent’anni, Domenico Caliri non è, contrariamente a molti suoi colleghi, musicista discograficamente prolifico, soprattutto come leader. Proprio per questo ogni suo nuovo lavoro, sempre lungamente meditato, risulta pregnante di contenuti e non delude quasi mai i suoi numerosi estimatori.

In questo suo quarto disco per Caligola il chitarrista siciliano, ormai bolognese d’adozione, rispolvera quel Cal Trio che tanto aveva fatto parlare di sé nello scorso decennio, quando al suo fianco c’erano Antonio Borghini e Cristiano Calcagnile, poi sostituito da Federico Scettri. Da un paio d’anni – dopo la faticosa ma esaltante esperienza con l’ensemble allargato di «Camera lirica» (2014) – Caliri è tornato a frequentare la formazione a lui molto congeniale del trio, trovandosi a suonare abbastanza regolarmente con il contrabbassista Stefano Senni ed il batterista Marco Frattini.

Concerto dopo concerto è così rinato, dopo qualche anno di pausa, il Cal Trio, delineando un’identità sempre più precisa ed originale, tanto da spingere il suo leader a scrivere nuova musica e quindi a registrarla. Con l’unica eccezione rappresentata da My mind on a surf, composta nel 2013 per «Dialoghi a corde», disco registrato in duo con Ares Tavolazzi e pubblicato nel 2015 dall’Onyx Club di Matera, tutte le altre composizioni sono state scritte fra il 2015 ed il 2018; Nini G. proprio a ridosso della registrazione.

Sia i brani più impegnativi, come Aria mossa e Serpe, caratterizzati da arpeggi veloci e continui cambi di tempo, che quelli apparentemente più “leggeri” e scanzonati, come la già citata My mind on a surf o la latineggiante M’usciau, hanno in comune la ricerca di una cantabilità melodica ed allo stesso tempo l’irregolarità, spesso imprevedibile, della struttura ritmica.

Tutti i brani del chitarrista sono infatti allo stesso tempo melodici e “storti”, una caratteristica consolidata del suo stile compositivo, ed il lavoro svolto dalla solida coppia ritmica formata da Senni e Frattini per cercare di smussare degli angoli spesso molto spigolosi, risulta a tal fine encomiabile e prezioso.

Sunday, October 28, 2018

Pietro Tonolo / Michele Calgaro / Paolo Birro / Salvatore Maiore / Mauro Beggio - Deep Art Men (CALIGOLA RECORDS 2018)


Da qualche anno ormai il jazz è diventato corso di laurea nei Conservatori italiani. Il rischio, per una musica che si è sempre distinta per l’esuberante vitalità e la sincera voglia di suonare dei musicisti, è quello di sedersi sugli allori passati, accontentandosi di un banale deja–vu. Ciò non è successo a Vicenza, dove cinque talentuosi ed affermati jazzisti si sono incontrati fra le mura di un conservatorio ed hanno deciso oltre che di insegnarvi, di suonare insieme facendolo nella maniera più naturale possibile: un repertorio di brani originali, alcuni concerti per rodarlo, e poi tutti in studio di registrazione per cementare il gruppo intorno ad un prodotto comune.

Anche il titolo dato al disco dell’inedito quintetto lo conferma, visto che «Deep Art Men» ci ricorda chiaramente che si tratta degli insegnanti del Dipartimento Jazz del Conservatorio A.Pedrollo di Vicenza. Tornano utili al proposito le note di copertina scritte da Federico Benedetti, sassofonista, già allievo di Pietro Tonolo, che al suo maestro ha dedicato la traccia conclusiva dell’album, Tonolulu. Creatività ed entusiasmo traspaiono infatti “… nella solare serenità di Airport, con Birro sorprendente al piano elettrico; in Dettato, brano tranquillo ma allo stesso tempo deciso ed incalzante; negli shorteriani Progression e Porto Franco, dove Calgaro si mostra particolarmente eloquente, ma anche nella magia notturna di Bluerik, geniale omaggio postmoderno a Satie, che Tonolo colora delle numerose sorprese che riesce ad estrarre dal suo sax tenore …”.

Merita ancora di venire ricordata “… tra le altre numerose perle, Ammentos, una vera festa, che evoca la ricchezza di tutti i sud del mondo, in cui Maiore e Beggio tessono con efficacia un caleidoscopio poliritmico in cui tutti si gettano a capofitto in un gioco scoppiettante di idee sonore …”. Un disco da ascoltare con la massima attenzione, perché in grado di riservare nuove e belle sorprese ad ogni successivo ascolto.


Maciek Pysz & Daniele di Bonaventura - Coming Home (CALIGOLA RECORDS 2018)


«Coming home» è il quarto album da leader del musicista polacco Maciek Pysz, classe 1982, che fa seguito, nell’ordine, a «Insight» (2013), in trio con Yuri Goloubev e Asaf Sirkis, «A journey» (2015), dove il trio diventa quartetto grazie all’innesto di Daniele di Bonaventura, ed al più recente «London stories», realizzato in duo con il chitarrista Gianluca Corona. Pysz predilige le chitarre acustiche, con cui ha ormai maturato uno stile estremamente personale, lirico e scorrevole, che gli consente di affrontare con grande fluidità e naturalezza anche i passaggi più difficili.

Trasferitosi poco più che ventenne a Londra, dove si è presto messo in luce per la rara facilità nel riuscire ad unire virtuosismo strumentale e fantasia melodica, il chitarrista si è già esibito in molti importanti festival (nel 2013 anche in quello di Londra). Musicista sensibile e raffinato, pregevole compositore, ha quindi avuto occasione di rincontrare Daniele di Bonaventura, costituendo con lui un duo che, dopo una serie di concerti in Italia e Polonia, ma soprattutto dopo questa riuscita incisione, realizzata da Stefano Amerio, sembra poter diventare stabile.

Di Bonaventura, fra i più apprezzati bandoneonisti italiani, soprattutto per la lunga collaborazione con Paolo Fresu, che ha contribuito ad aumentarne la popolarità, è anche uno splendido compositore e pianista – si ascoltino a tal proposito More & more e Blue tango di Pysz, ma anche il suo Tango, con relativa breve introduzione improvvisata – anche se in questa veste meno apprezzato di quanto meriterebbe. Album crepuscolare, come il titolo lascia chiaramente intendere, «Coming home» è giocato su sottili sfumature e melodie intense ma appena sussurrate, capaci di dilatarsi oltre ogni aspettativa. 

Pysz riesce a farlo per esempio, grazie al sapiente uso della chitarra elettrica, nel brano che dà il titolo all’album, e di cui costituisce un’ideale chiusura. Non manca qualche episodio più disteso e movimentato – Nadir, Paquito e I gazzillori su tutti – ma alla fine è sempre la malinconia del tango a dominare gran parte del lavoro. E’ un “ritorno a casa” insomma, che unisce la gioia nel ritrovare gli affetti più cari alla nostalgia di quello che ci si è lasciati alle spalle.


Baba Sissoko - Mediterranean Blues (CALIGOLA RECORDS 2018)


Baba Sissoko, griot e polistrumentista del Mali, classe 1963, ha stabilito da ormai 18 anni la sua residenza in Calabria, e la sua è diventata quindi una presenza costante (e di spicco) nel panorama musicale italiano. Attivo artefice della diffusione della tradizione musicale del suo paese nel mondo, nell’Art Ensemble del “dopo–Bowie” Sissoko ha avuto modo di mescolare l’amadran – che per molti studiosi è all’origine del blues – con il jazz e le musiche popolari afro–americane.

Le successive prestigiose collaborazioni con Omar Sosa, Dee Dee Bridgewater e Roberto Fonseca, non hanno soltanto consolidato la sua fama internazionale, ma ci hanno anche fatto capire che la sua preferenza va a tutti quei musicisti che, a partire da un approccio tradizionale al jazz, hanno gradualmente spostato la loro ricerca verso le origini africane di tutta la musica nero–americana: blues, jazz e soul. Dopo il riuscito «Jazz (R)evolution» – firmato con Antonello Salis e Don Moye, trio di fatto paritetico – Sissoko torna a pubblicare per Caligola un altro lavoro “live”, ma stavolta fortemente sbilanciato verso il blues.

Le canzoni eseguite nel concerto siciliano ci raccontano alla fine una vera e propria storia, e lo fanno nel più tipico stile del leader. Proprio il blues (o l’amadran se preferite), che ci racconta storie che nascono nell’anima di chi le canta, rappresenta per Sissoko una grande occasione di incontro fra diverse culture ed il titolo, «Mediterranean Blues» – che è anche il brano di apertura del disco – assume un significato altamente simbolico, perché proprio il mare Mediterraneo, oggi luogo di morte e contrasti, ha invece da sempre favorito l’incontro fra culture, popoli e tradizioni diverse

Affiancato dal suo collaudato gruppo elettrico, dove convivono mirabilmente Mali, Camerun e Sud Italia, Sissoko ha voluto accentuare la componente blues del progetto invitando in alcuni brani come ospiti Domenico e Fabrizio Canale (padre e figlio), apprezzati bluesman calabresi, ed in quest’occasione anche eccellenti armonicisti. 


Maurizio Brunod / Giorgio Li Calzi / Boris Savoldelli - Nostalgia Progressiva (CALIGOLA RECORDS 2018)


Il titolo potrebbe trarre in inganno. Non siamo di fronte ad un’operazione che guarda con nostalgia al passato, nella fattispecie alla stagione d’oro del rock progressivo. D’altro canto tre musicisti lucidi e creativi come Maurizio Brunod, Giorgio Li Calzi e Boris Savoldelli non potevano accontentarsi di toccare solo queste corde. I 10 brani selezionati vengono riletti con i mezzi offerti dalle nuove tecnologie ma soprattutto con la consapevolezza che i 40 anni (e più …) che ci separano da quelle storiche registrazioni non sono passati invano. E’ il jazz, condito da un sapiente uso dell’elettronica, a guidare il trio in questa personale rilettura di un repertorio che non è poi tutto e solo “progressivo”. 

C’è il jazz–rock dei Nucleus di Ian Carr e dei Soft Machine di Robert Wyatt, c’è Elvis Costello, ci sono i Beatles più onirici a rendere ancor più cangianti le atmosfere musicali. Se i King Crimson fanno la parte del leone, vanno ricordate anche le riletture dei Kraftwerk e delle Orme. Sottolinea nelle sue esaurienti note di copertina il critico John Ephland (DownBeat): “Non è un approccio tanto avanguardistico quanto riflessivo, quello che hanno avuto i tre straordinari musicisti, capace di scavare a fondo su canzoni ricche di spunti sia melodici che ritmici, forse prendendo in giro quello che loro stessi avevano più amato in ciascun brano. Non ci sono gli eccessi del prog rock più convenzionale, ed infatti il brano più lungo supera di poco i 10 minuti, mentre tutti gli altri durano fra i 4 ed i 6 minuti. In altre parole, non siamo di fronte ad un’operazione nostalgica, dove la musica è riproposta da chi si accontenta di rivivere il passato ...”.

Da precisare come il progetto sia stato realizzato in tempi davvero rapidi. Alcuni riusciti concerti hanno convinto il trio sulla necessità di registrare. Tutto è stato fatto in un sol giorno, quasi in presa diretta, alla vecchia maniera. L’alchimia è risultata magica, e l’album appare estremamente fresco, sincero e naturale. 


Omit Five - Omit Five (CALIGOLA RECORDS 2018)



Omit Five was born in 2010 in the Conservatory of Rovigo, as an extension of the laboratory of improvisation of the Master Degree courses. Drawing his inspiration from jazz masters such as Miles Davis, Wayne Shorter, Dave Douglas and Dave Holland, the quintet has quickly elaborated a proposal that is more and more personal, succeeding in creating a repertoire of original tunes which have become part of this first but already convincing recording. Certainly the self–esteem of the band was enhanced by the victory obtained in the jazz section of the National Prize of the Arts 2010/2011, in which bands from all over Italy had taken part. Only one year later Omit Five have other new finished songs, already played live and that will constitute their now forthcoming second album. Tying the post–bop tradition with completely acoustic sonorities, the quintet winks at what new has emerged during the last years from the New Yorker and north–European vanguard scene. Even if they are all about 25 years old, the musicians have been able to lessen juvenile passion and enthusiasm with the rationality derived from their studies with the Rovigo’s teachers Moreover, Omit Five express the attempt to merge two different geographical areas, a southern one, represented by the drummer Simone Sferruzza, from Palermo, and the guitarist Joseph Circelli, from Campania, and a Venetian one. This area is related to the trombonist Filippo Vignato, from Vicenza, who has moved some time ago to the Venice dry land, where the saxophonist Mattia Dalla Pozza and the double bass player Rosa Brunello work too. Among the ten tracks, if the suggestive Oclupaca, which is one of the little–known songs of the last Ellington’s production, and Shiny things, by Tom Waits, are excluded, two compositions are by Brunello, two by Vignato, one by Sferruzza and three by Circelli. 

Thus Omit Five’s music is the result of a really collective and equal work, where even the varied timbric and rhythmic–harmonic solutions, resulting from the taste and sensibility of the different composers, are nevertheless attributable to a well–defined sonority. This could already suffice to be satisfied of what has been achieved in such a short time by five jazzmen we shall surely hear a lot about soon.


Zoe Pia - Shardana (CALIGOLA RECORDS 2018)


his is a debut album – and what a debut! – for the young Sardinian clarinettist and composer Zoe Pia, who has developed a project within the F.Venezze Conservatory of Rovigo, attended after her graduation in Cagliari, where she first specialized in chamber music and then enrolled in the Jazz Department directed by Marco Tamburini. Right at Venezze Conservatory the clarinet player has found the musicians (and friends) capable of co–interpret her music with passion, and of inserting in the project tones and colours unexpected even for those familiar with the vanguard. Roberto De Nittis, keyboards, Glauco Benedetti, tuba – now much more than a promise of the young Italian jazz – and Sebastian Mannutza, also Sardinian and from the classical world, violin and drums (brother of Luca, an affirmed jazz pianist), have been more than just partners and reliable instrumentalists, contributing proactively to the success of the recording.


The idea of combining the technique of “soundscape composition” with the contemporary language has allowed to pay homage to the unforgotten singer Andrea Parodi, but also to tell through music the energy hidden in the graves of the giants of Sa Dom 'e S’Orcu, or mysterious characters as S’Accabadora, the tradition of the Mogoro procession (Oristano), her hometown, the history of the people of the Mediterranean, the mystical Domus de Janas (sort of Sardinian version of elves) and the traditional Sardinian dance in the joyful closing Ballendi su Ballu. In the hands of Zoe Pia the Launeddas assume, among other instruments, a totally personal garment, the result of careful research of unexplored tonal possibilities of the precious millennial instrument. «Shardana», as Paolo Fresu commented in the brief but sensible liner notes, “… is the right and desired balance between rationality and madness, passion and feeling, root and flower… a courageous engagement of languages, repertoires and sounds between today’s jazz, improvisation and ethnicity “.