Chi costruisce musica, da solo o insieme a altri, sa bene quanti elementi, qualcuno forse prevedibile, ma un’infinità totalmente al di fuori di ogni controllo, collaborano all’esito di una pratica improvvisativa.
Lo sa bene anche Frank Martino, chitarrista e compositore di tagliente intelligenza, che in questo disco prende un organico classico del jazz elettrico, il classico “organ trio” (quello di un Wes Montgomery o un Grant Green per intenderci) e lo scaglia letteralmente dentro il caos del Ventunesimo secolo.
Con Martino, qui impegnato alla chitarra a 8 corde e ai live electronics, ci sono Claudio Vignali (che deleuzianamente si propone come organista senza organo e suona piano, Fender Rhodes e sintetizzatori) e Niccolò Romanin a batteria, batteria elettronica e sintetizzatori.
Senza sovraincisioni, con ciascun vertice del triangolo impegnato a ridefinire in continuazione i propri suoni – vere e proprie entità mutanti che si aggirano senza inquietudine nella musica di Martino – il Disorgan Trio conversa in modo serrato con una lingua liberata e contemporanea, in cui gli aspetti acustici e quelli elettronici si scambiando continuamente di ruolo.
Corpi che parlano con voci sempre diverse, plurali e disorientanti, le composizioni di Martino – cui si aggiungono due belle versioni di un brano del musicista canadese Venetian Snares o di un tema-feticcio di Bill Evans come Waltz For Debby – seguono come un impulso elettrico l’intrico di canali sanguigni che nervi che conduce gli impulsi della creatività e si affida alla tempesta di influenze che modifica incessantemente il cammino di un’idea musicale condivisa.
Dopo tutto un corpo senza organi è – tornando a Deleuze – un corpo libero e desiderante ed è questa la condizione migliore per spostare la musica dalle stanzette un po’ asfittiche delle aspettative incrociate e lasciare che si incendi nell’incontro con il combustibile di un ascolto inaspettato.
Enrico Bettinello